venerdì 18 maggio 2007

FIKEA???

Seconda parte di uno dei miei pindarici voli sull'IKEA...

Passati ormai da un bel po' i postumi del primo maggio, festa sempre gradita, mi ritrovo nuovamente a dover parlare del monoblocco svedese di via Fraccalanza (vedi IKEA), e delle sue “magiche” idee sul lavoro, al fine di far capire al lettore il “magico” mondo dei lavoratori che si cela sotto la sua patinata facciata.

Vediamo di fare un gioco di associazioni mentali: 1° maggio, festa, lavoratori, sindacato. Ahia. Nota dolente. Purtroppo il sindacato in IKEA è, per non dire per niente, poco attivo e prolifico. E non per colpa di un RSA o un RSU scadenti. Non per una massiccia presenza di contratti a tempo determinato (ci ritorneremo, ci ritorneremo..) che giustificherebbero una scelta di non aderire al sindacato per “pararsi il culo” (tutti sappiamo come il datore di lavoro vede il dipendente iscritto a CGIL CISL e UIL). La risposta si può sintetizzare in una sola semplice parola: Voice! Il Voice è un comitato “spontaneo” formato da persone che rappresentano i vari reparti dell’IKEA. Questo gruppo ha il compito di mantenere alto il livello di soddisfazione e di felicità del povero dipendente, riempiendolo di frasi fatte, slogan positivi e ogni quant’altro possa servire a far percepire un generale clima di positività.

Inoltre viene eseguita un’indagine annuale sull’ambiente lavorativo con le seguenti modalità: ogni singolo dipendente deve rispondere ad una serie di quesiti e domande sia specifiche che generali sul proprio lavoro. In linea ipotetica la faccenda potrebbe avere un minimo di serietà ma, anche qui, casca l’asino. I primi sospetti sulla certezza dell’anonimato vengono quando, prima di affrontare il Voice, ci si vede assegnare una password personale per accedere al test; inoltre se questo non bastasse a destare qualche sospetto, ci pensano le domande iniziali, nelle quali bisogna tracciare un profilo anagrafico di se…quindi in un ipotetico reparto formato da dieci persone non saranno molte gli studenti lavoratori o, le madri di famiglia o via dicendo.

I dati elaborati vengono poi esposti in riunioni o feste in puro stile IKEA. La cosa che colpisce è la fortissima discrepanza fra i risultati e il reale clima che si respira all’interno dell’azienda. Che avvenga per caso una seconda rielaborazione dei dati da parte di ignoti? Com’è possibile che i dati siano in continuo miglioramento se i problemi dell’azienda non accennano a diminuire? Uno svedese e giallognolo mistero copre l’intera faccenda.

Veniamo ora alla questione più spinosa e merdosa che avviene a livello contrattuale. I contratti a tempo determinato sono una realtà ormai consolidata all’interno di ogni grossa azienda; IKEA si sta impegnando, e di questo bisogna dargliene atto, a passare a tempo indeterminato più del 70% circa dei contratti. Ma come vengono trattati quei poveri sventurati il cui contratto continua ad essere a termine? Per chi non lo sapesse, per legge, un contratto può essere rinnovato per al massimo due volte; dopodiché l’azienda ha l’obbligo di rinnovarlo a tempo indeterminato. Ecco come IKEA (così come tantissime aziende italiane) aggira il problema. Al secondo scadere di contratto il dipendente viene formalmente licenziato per poi essere riassunto nel giro di una settimana, al massimo due. Così facendo l’azienda rispetta gli obblighi sindacali e contrattuali, a discapito del dipendente che perde ogni tipo di privilegio. Gli vengono a mancare, infatti, tutti gli scatti di anzianità, i privilegi che si acquisiscono lavorando in un’azienda per svariati anni. Inoltre un lavoratore a tempo determinato non può chiedere finanziamenti, non può fare mutui ne prestiti in quanto non riesce a dare certezze sul suo futuro lavorativo; egli sta sempre sul chi vive, deve sempre dimostrare qualcosa di più all’azienda e non commettere mai errori, poiché ogni pretesto potrebbe essere buono per licenziarlo e per sostituirlo.

lunedì 7 maggio 2007

IKEA PORSEA

Londra è passata... e la mia voglia di parlarne pure!
Sono stato lontano dal blog, ma prometto di non farlo più!!!!

E ora....
parliamo un po' del posto in cui lavoro....

Un’azienda deve sapere se lavora bene, giusto? Giusto. Abbisogna quindi di qualcuno che le dica se lo fa, come lo fa e in cosa dovrebbe migliorare, giusto? Sempre giusto! Dunque IKEA, come tutte le aziende, sente questa necessità e cerca un modo per ottenere un’immagine aziendale di sé. Il problema è che cerca l’immagine di sé che più le piace. Mi spiego meglio. Periodicamente (mi pare ogni anno o due) IKEA si affida ad una ditta esterna che le dice, tramite un “Commercial Review” cosa va’, cosa non funziona e in cosa bisogna migliorare. Primo inghippo. L’azienda che controlla viene direttamente pagata da IKEA, e i punti di questa verifica vengono concordati insieme! Domanda: Se uno vi pagasse un botto di soldi per sentirsi dire se è bravo o meno, voi cosa gli direste? Tirate da soli le conclusioni. Secondo Inghippo. Se in questo momento qualcuno vi controllasse senza preavviso la camera, in che condizioni la troverebbe? Se invece sapeste, che dico con giorni, con mesi di anticipo, che alla tal data e tal ora qualcuno controllerà la vostra stanza… beh, chiaro che, nella seconda ipotesi, dal controllo scaturirà un giudizio maggiormente positivo! IKEA concorda non solo le modalità, ma perfino le tempistiche del controllo.

Tutti sappiamo gli stress che derivano da un esame, una verifica o un impegno con una data di scadenza, e tutti siamo consci dei sacrifici che ne conseguono! Stessa storia per l’amatissimo “Commercial Review”! Dato che IKEA Padova (attenzione attenzione!!), nonostante i guadagni milionari di cui si fregia, è un’azienda che lavora male… molto male, obbliga i suoi dipendenti a straordinari i quali non sono obbligatori, ma CALDAMENTE consigliati ( e purtroppo tutti sappiamo che vuol dire nel mondo del lavoro…). E così ci si trova a vedere venditori costretti a raddoppiare i turni di lavoro, spremendo in special modo i dipendenti part-time, che magari studiano e/o si arrabattano con altri lavori per arrivare a fine mese, ma in special modo quelli a con contratto a tempo determinato, che sono obbligati ad assecondare i voleri dei padroni!. La domanda che mi sorge spontanea, alla luce di tutto ciò, è questa: Possibile che la promozione ad un controllo, per quanto farlocco esso risulti, necessita di turni massacranti, mobilitazione straordinaria del lavoro, e situazioni che nella quotidianità dell’azienda non sono pensabili??? Evidentemente c’è del marcio Watson!